I dati della disabilità in Italia: prendiamocene cura

La dataficazione collega comunità, cura e competenze ai dati. Questo collegamento evidenzia come i dati, grandi o piccoli, non esistono mai da soli. I dati contano solo se qualcuno si prende cura di loro e se ne prende cura. La cura include tutti i modi in cui valutiamo, regoliamo, curiamo e diamo significato ai dati.

(Da “Data and Society” di Anne Beaulieu e Sabina Leonelli)

“Abbattere le barriere tra disabilità e lavoro”: è questa la mission di Habile. Una mission che è importante collegare a dei numeri: quante sono le persone con disabilità in Italia? In quante hanno un’occupazione? Un contributo prezioso è stato fornito – poco prima dell’emergenza pandemica – dall’Istat in “Conoscere il mondo della disabilità”.

Quali sono i dati più significativi? In Italia il numero di persone con disabilità nel 2019 è pari al 5,2% della popolazione (3 milioni e 150 mila persone), si tratta principalmente di donne o persone anziane. E – come evidenzia FightTheStroke – “molte sono le persone anziane, sopra i settantacinque anni, che riportano difficoltà in attività di tipo domestico, dal fare la spesa alla gestione delle risorse economiche”.

Andiamo nello specifico della dimensione lavorativa: in cosa consiste – numericamente – la “barriera” tra disabilità e lavoro? L’Istat evidenzia che nelle persone tra i 15 e i 64 anni risulta occupato solo il 32,2% di coloro che soffrono di limitazioni gravi contro il 59,8% delle persone senza limitazioni. In pratica: se hai una disabilità grave la tua possibilità di trovare un lavoro si riduce del 50%. Ovviamente il mancato accesso al lavoro impatto sulle condizioni di vita e si trasforma in povertà, in fragilità, in fatica, per la persona e la sua famiglia: nel Rapporto annuale 2022 sempre l’Istat evidenzia che “un quinto delle famiglie con almeno una persona con disabilità è deprivato; lo è più del 25% tra le famiglie monoreddito e quasi il 30% tra quelle residenti nelle regioni del Mezzogiorno; tutti i valori superano sensibilmente quelli registrati tra le famiglie senza disabilità (12,4 per cento del totale famiglie, 16,6 di quelle monoreddito, 16,8 di quelle residenti nelle Isole e 22,9 per cento nel Sud)”. Certo, esistono politiche di welfare, ma – è ancora l’Istat a certificarlo – “i servizi e gli interventi in tema di assistenza socio-assistenziale lasciano ancora un onere di cura importante sulle famiglie e non permettono di colmare lo svantaggio nelle prospettive di lavoro e carriera dei caregiver e delle stesse persone con disabilità”.

Possiamo quindi trarre un paio di conclusioni basate sull’evidenza dei dati: la prima è che l’abbattimento delle barriere tra disabilità e lavoro ha un effetto sistemico, che libera dignità e autonomia della persona con disabilità, consentendo un alleggerimento tutt’altro che banale anche per la sua famiglia; la seconda è che dei dati bisogna prendersi cura: questi numeri sono chiari e possono essere “mobilitanti”, nel senso di indirizzare le policy pubbliche e le scelte del mondo profit verso supporti crescenti all’inserimento lavorativo di persone con disabilità.



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