12 Dic Habile al Parenti di Milano: teatro, vita e lavoro
Si dice che nel VI secolo a.C. filosofia, storia e favole nacquero insieme in Grecia perché le favole erano necessarie per dire ciò che filosofia e storia non riuscivano proprio a dire.
Domenica al Parenti di Milano abbiamo avuto la conferma che il Teatro trasmette l’urgenza – sociale, politica, esistenziale – dell’inclusione con una forza che centinaia di convegni non riusciranno mai a generare.
“In stato di grazia” mette in scena bambine e bambini con e senza disabilità, intreccia parole e non parole, baci che non vorrebbero finire mai, paure delle famiglie, verità e tenerezza. Resta la domanda di fondo: che sarà di noi, di loro, di chi è neurodiversə, biodiversə rispetto alla sedicente normalità?
E allora ecco la parola magica e vera: “il lavoro”. Il lavoro come autonomia e possibilità di impatto nel mondo che esplode nella sua necessità e potenzialità.
Nel corso della tavola rotonda dopo lo spettacolo – con attrici e attori, regista e sceneggiatrice, e palline blu in movimento ad allineare i pianeti e le nostre vite – abbiamo ascoltato l’impegno di Martina Fuga in CoorDown, che crea il matching e accompagna – monitora persone con sindrome di Down nelle fasi dell’inserimento lavorativo. Martina sfida le aziende sul tema dell’inclusione “perché percorsi di lavoro veri sono possibili”. E poi abbiamo sentito il suono forte di Luca Baldan di AllegroModerato che libera la musica per tutte e tutti, e con le orchestre genera bellezza, la porta in scena e pure nelle imprese in tanti momenti di team building.
Noi abbiamo raccontato le rampe di Lego come chiave per aprire cervelli e cuori sui temi dell’inclusione e di Habile come risposta, come programma per calare a terra le parole e le suggestioni: nelle cooperative sociali si possono iniziare tanti percorsi di inserimento lavorativo, ma tanto deve e può essere fatto nelle aziende profit. Analisi della situazione, dialogo, confronto, tutoraggio, monitoraggio. Mettersi in discussione e investire nell’inclusione. All’inizio la biodiversità sembra complicare la vita (e la complessità c’è). Ma è il contesto che rende spesso una persona più o meno disabile. E quindi la complessità può diventare opportunità e possibilità trovando il “lavoro” lì dove sembrava poco visibile e molto impossibile.
Resta una sensazione di fondo, per chiudere il cerchio del teatro e della vita e del lavoro: l’umanesimo, l’arte, la poesia, il pensiero, la letteratura possono spingere alcuni processi economici a modificarsi, a cambiare, a farsi delle domande di senso oltre la tecnica e l’algoritmo. Invitano a ragionare, a cercare significati. Rompono inerzie e portano a comunità più solidali, oltre l’epidemia delle solitudini. Ed è forse questa la risposta all’angoscia di mamme e papà: “Che sarà dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze dopo di noi?”.
Sarà una comunità solidale. Che include dentro di sé tutta quella varietà – dolce salata faticosa – che è l’umanità.