15 Gen Storia di un tirocinio in Habile
Alba Tognetti, laureanda in Scienze Psicologiche Cognitive e Psicobiologiche, racconta il suo tirocinio con i Talents di Habile
Un giorno mi è stato detto che ormai l’omosessualità va di moda. Durante questi mesi mi sono chiesta se mi sono avvicinata all’autismo per “moda”. I disturbi dello spettro autistico sono abbastanza accessibili, spesso sono anche difficili da notare. Sicuramente, quando si tratta di neurodivergenza e sessualità, sarebbe più corretto considerare il processo di liberazione che passa per l’identificazione con figure popolari, come Shaun Murphy, ragazzo con Asperger in “The Good Doctor”.
Mi sono avvicinata al tema della disabilità poco più di un anno fa seguendo qualche conferenza sull’accessibilità universale e valorizzazione del patrimonio culturale. Questo nuovo approccio al tema della disabilità mi ha affascinato, perché propone in modo così semplice una nuova visione che coinvolge tuttɜ. L’accessibilità universale al patrimonio culturale prende in considerazione vari aspetti della diversità: culturale, livello d’istruzione, conoscenza della materia stessa, neuro-diversità e altri aspetti del contesto che rendono un diritto, come il diritto alla bellezza, inaccessibile per molte persone.
Questo discorso si intreccia inevitabilmente con le relazioni interpersonali: i luoghi di cultura sono luoghi di incontro, di conoscenza e di riconoscimento del sé individuale in qualcosa d’altro che è la storia e la cultura di uno o più popoli.
A settembre 2023 ho conosciuto i Talents di Habile (o Talenti, come direbbe Ludovico). Conserverò molti ricordi felici di questa esperienza, ma mi lascerò ispirare da Enrico Ortile, autore di “Anch’io so stare al mondo” per raccontarne qualcuno.
Il 15 dicembre 2023 la Riesco s.c.s., la cooperativa in cui ho svolto il tirocinio pre-lauream, ha organizzato una festa di Natale. Nicola Barzon, un ragazzo molto caotico, ha passato il pomeriggio ad aiutare ad allestire la sala per la festa. In ufficio non capivo cosa stesse facendo, mi ha risposto che stava cercando di far funzionare il proiettore, ma che non ci riusciva. Aveva lo sguardo molto concentrato. I momenti in cui si focalizza su qualcosa senza cercare il contatto con qualcuno sono rari, ma sono proprio questi i momenti in cui bisogna esplorare il suo potenziale. Vygotskij, psicologo russo, parla della “zona di sviluppo prossimo”, sottolineando l’importanza di individuare e sfruttare il potenziale di apprendimento di un individuo in un contesto relazionale. Per questo Nicola, nonostante il caos, deve essere visto come potenzialità inespressa o espressa verso abilità che non lo rendono autonomo, quindi “abile”.
Nicola alla festa ha fatto il dj, non credo che l’ufficio gli si addica molto, proprio per una sua inclinazione al contatto con le persone. In alcuni momenti ha saputo stupirmi parlandomi con lucidità di alcune sue debolezze, nel complesso è una sfida.
Alla festa c’erano anche Alessandro Padrin, Enrico Ortile ed Enrico Balestra con le famiglie. L’incontro informale con le famiglie è una delle cose che ho apprezzato di più di questo tirocinio; in alcuni casi permette di distinguere un atteggiamento caratteristico di un “disturbo del comportamento sociale” (categoria in cui rientrano i disturbi dello spettro autistico) e disposizioni personali influenzate dall’ambiente.
Non ho parlato molto con Alessandro durante questi mesi, ma nelle sue opere e nella sua timidezza ho visto una sensibilità che potrebbe essere frettolosamente categorizzata come risultato, un sintomo della sua condizione, poi ho visto una simile sensibilità nel padre alla festa di Natale.
Enrico Ortile, invece, ha un gemello, Riccardo. Non lo sapevo prima di conoscerlo, sono rimasta scioccata quando è comparso il secondo Enrico, l’originale. “Ah scusa, avrei dovuto avvertirti” mi ha detto, altri avrebbero soltanto riso dell’involontario scherzo. Enrico e il padre sono una coppia divertente, un divertimento non invadente. Non me lo sarei aspettata vedendolo in ufficio, come chiunque altro d’altronde: l’ufficio dice poco della vita privata.
Alessandro ed Enrico Ortile in ufficio sembrano due aghi di una bilancia in perfetto equilibrio, lavorano uno di fianco all’altro in un ampio ufficio. I primi giorni mi sentivo più a disagio di loro dovendo stare in uno spazio così grande con così tante persone. Loro si mettono le cuffie e lavorano.
Alessandro ogni tanto deve alzarsi e passeggiare, deve sapere con certezza quello che deve fare e quanto durano le riunioni, ma, una volta avviato, lavora con determinazione e conoscenza dei propri limiti. Fa riferimento diretto al suo (e mio) tutor, infatti, quando mi è stato chiesto di seguire Alessandro e di aiutarlo in caso gli servisse, mi è sembrato un po’ scettico, ma quando è entrato in confidenza si è rivolto anche a me, a patto che gli dessi delle informazioni chiare, inconfutabili.
Anche Enrico conosce bene i propri limiti: quando gli chiedevo qualcosa mentre era concentrato mi rispondeva: “non posso, sto facendo altro”. Potrebbe sembrare una risposta banale, ma osservandolo e conoscendolo un po’ avevo capito che era perfettamente cosciente del suo limite, se avesse aggiunto informazioni in quel momento, non ce l’avrebbe fatta.
Enrico Balestra, capoprogetto delle rampe di LEGO, conosce i propri limiti e quelli degli altri. Un giorno ho detto una frase che ha sentito male, credeva avessi detto “che autismo…”, mi ha risposto che ci vuole pazienza.
Enrico è preoccupato per Nicola e le sue difficoltà di adattamento, quando Nicola è troppo caotico, Enrico arriva a placcarlo anche fisicamente, lo ammonisce. Fin da subito mi è sembrato che assumesse il ruolo di fratello maggiore nei suoi confronti. “Non comportarti così, altrimenti finisci in un centro diurno”.
Ho passato molte ore con Enrico Balestra, si vede che ha a cuore la sua missione: creare rampe di lego per abbattere le barriere architettoniche e mentali. “Sai Alba, dovresti venire al prossimo evento, è importante. Ah, chiedi ai tuoi amici e conoscenti se hanno dei LEGO.”
A Legolandia, il suo ufficio/laboratorio si respira aria calma e giocosa. Enrico lavora con la musica, canta le colonne sonore dei cartoni animati selezionando accuratamente un mattoncino per volta. Una mattina Nicola ha invaso questa calma, ma Enrico ha trovato un modo divertente per contenerlo: ha fatto partire “YMCA” e Nicola si è messo a ballare sulla sedia rispettando gli spazi altrui.
Non mi piacciono particolarmente i luoghi rumorosi. Alla festa la mia ansia sociale ed io eravamo sedute a tavolo con Alessandro, Enrico B., Enrico O., i genitori. Era un tavolo piuttosto silenzioso contro il rumore di quella sala; infatti, poi, ci siamo spostati nella “sala decompressione”.
Ludovico non si è presentato. A “Ludolandia”, il suo ufficio, vige il silenzio, un silenzio che in realtà è ascolto. Ludovico vede, ascolta la sofferenza degli altri, non sopporta le ingiustizie e sembra che voglia farsi incarnazione della rabbia. Ha spesso il broncio, resta in solitudine nel suo ufficio anche mentre i muratori lavorano di fianco, ma quando si dimostra di ascoltarlo e comprenderlo, sa mostrare il sorriso come quando è stato intervistato da una compagnia teatrale al Teatro Verdi.
La psicologia è una disciplina molto vasta, caotica nelle domande di ricerca e nella teoria. La tendenza contemporanea è di far convergere tutto il sapere nelle neuroscienze o nell’ambito clinico, con diversi approcci sviluppati ampiamente negli ultimi secoli. Il tirocinio dovrebbe permettere di applicare la teoria, mettere in pratica i metodi. Questa esperienza, invece mi ha fatto notare i limiti della psicologia e della medicina nell’ambito delle disabilità. Soprattutto quando si tratta l’autismo, credo che la psicologia rinunci all’indeterminazione di un approccio olistico preferendo quelli più sicuri che si avvicinano alle scienze dure, perché su queste si fondano le norme sulla disabilità. D’altronde, serve anche una terza parte che permetta di supplire al danno di queste scienze, sempre atte a categorizzare e quantificare. Me ne sono resa conto in modo particolare da uditrice di una UVMD: mi ha fatto pensare molto all’importanza di un lavoro congiunto tra tutte le persone di riferimento (parenti, tutor, SIL, psicologɜ, medici ecc…) di cui si parla sempre di più, ma anche dei limiti della psicologia nella sua ricerca di legittimità scientifica.
In questi mesi, mi sono posta molte domande, questo tirocinio mi ha permesso di fare esperienze che auguro a chiunque. Conoscendo i problemi cui vanno incontro i miei coetanei nello svolgimento del tirocinio, sono sicura di essere stata molto fortunata. Il mio tutor in Riesco-Habile – oltre a saper costruire una visione d’insieme dell’inclusione che permette a questi ragazzi di raccontarsi rendendosi più accessibili agli “abili” – è una persona attenta ai problemi che riguardano i giovani, alle necessità economiche, sociali, relazionali. “Ah, questo tutor che non ti fa neanche fare le fotocopie…” ha detto un giorno andando verso la stampante.